venerdì 3 febbraio 2012

MILK: una storia di conquiste sociali e diritti civili con uno Sean Penn da Oscar

Harvey Milk era un ragazzo di New York, figlio di un commerciante di tessuti; trasferitosi a San Francisco cominciò a dedicarsi corpo ed anima alla causa del movimento omosessuale. I diritti negati, l’emarginazione dalla vita pubblica, l’intolleranza e i soprusi subiti dai gay erano situazioni all’ordine del giorno nell’America puritana degli anni ’70, anche per questo il numero delle persone che dichiaravano la loro omosessualità era davvero esiguo.
Così Harvey decise di “reclutare” tutti quelli che avevano intenzione di battersi per conquistare il loro spazio, come ogni altro essere umano, nella società non nascondendo il suo stesso orientamento sessuale, e si presentò alle elezioni comunali di San Francisco diffondendo le problematiche per cui lottava e coinvolgendo con le sue battaglie anche gli eterosessuali.
Per ben tre volte non riuscì ad essere eletto ma con il passare degli anni il suo movimento ebbe una crescita talmente considerevole da attirare attenzioni a livello nazionale: finchè nel ’78 la scalata agli uffici comunali andò in porto e Milk divenne il primo omosessuale a ricoprire una carica pubblica, per scelta del popolo.
L’ostracismo della Chiesa e degli integralisti cattolici, l’omofobia imperante e il rifiuto categorico ed ignorante di qualsiasi tipo di diversità erano purtroppo ancora forti e ben presenti nella società americana, e il muro contro muro che il movimento gay si trovava spesso ad affrontare era naturalmente impari visto le connotazioni ricattatorie e distruttive del bigottismo di buona parte delle lobby di potere: una delle leggi più assurde che negli anni ’70 venne proposta e in molti Stati messa in atto fu quella che vietava agli omosessuali di insegnare nelle scuole.
Per merito di Milk e della sua battaglia da consigliere comunale questa vergognosa legge, che andava sotto il nome di “Proposition 6”, non venne approvata nello Stato della California; ma qualche giorno dopo questo trionfo politico e a pochi mesi dalla sua elezione Harvey venne ucciso…era il 27 novembre 1978 e gli spari che gli erano stati promessi in numerose minacce del passato quel giorno arrivarono puntuali a togliergli la vita.  
A raccontare con maestria gli ultimi otto anni di vita di Harvey Milk è Gus Van Sant, uno dei registi più estrosi della moderna cinematografia indipendente americana.
Alternando immagini di repertorio a scene di finzione il regista riesce a narrare senza eccessi e stravaganze una storia privata che diventa importante, essenziale per la collettività: la decisione di girare nel quartiere di Castro a San Francisco, lì dove Milk visse e gettò le basi del movimento omosessuale, dà maggiore forza all’incrocio di fiction e realtà scelto per il film.
Gli aspetti tecnici, dalle riprese al montaggio, non avrebbero avuto uguale risalto se a rappresentare i personaggi di questa storia non ci fosse stato un gruppo di attori a dir poco camaleontici: eccezionali Emile Hirsch (Into the wild), James Franco (“Nella valle di Elah”), Diego Luna(“I diari della motocicletta”), Josh Brolin(“Non è un paese per vecchi”); più che sorprendente il mastodontico Sean Penn che, nei panni di Harvey Milk, rimette in discussione tutta una carriera di ottimo interprete per un ruolo difficilissimo, immedesimandosi alla perfezione e riuscendo nell’impresa di far guardare allo spettatore la maschera che interpreta senza far pensare all’attore che la sta vestendo, e di conseguenza all’incredibilità eventuale nell’associare interprete e ruolo rivestito.
L’importanza del personaggio che viene raccontato in “Milk” è valutabile anche attraverso la storia personale del regista: Gus Van Sant decise di dichiarare apertamente la propria omosessualità dopo l’uccisione di Harvey Milk, dopo essere venuto a conoscenza di quello che quest’uomo aveva fatto per le minoranze emarginate, dopo aver letto i discorsi in cui lui diceva che era necessario uscire allo scoperto manifestando il proprio orientamento sessuale se si voleva davvero far cambiare le cose, vedere riconosciuti i propri diritti.
Van Sant ancora una volta regala un’opera di rara intensità; ormai ogni suo lavoro è atteso con curiosità, non solo per le assodate qualità tecniche ma per la capacità di trattare argomenti spinosi con tatto e stupendo sempre più per il coinvolgimento emotivo in cui attira lo spettatore, fregandosene altamente del politically correct: da “Drugstore Cowboy” a “Belli e dannati”, da “Wiil Hunting” a “Elephant”, da “Paranoid Park” all’ultimo “Milk”, senza dimenticare i controversi  “Da morire”, “Cowgirl”, “Scoprendo Forrester” e “Last Days” , secondo me inferiori ai sovracitati.
La parabola di Milk non è dissimile da quella di personaggi storici come Martin Luther King, anzi: una vita sacrificata per i diritti umani e civili, per qualcosa in cui si crede, una battaglia combattuta attraverso un movimento d’opinione, una capacità di coinvolgimento di persone che senza questi leader avrebbero trovato l’oblio nella loro emarginazione o avrebbero cercato strade violente e sanguinose per ribellarsi alla loro condizione.
È importante che certe storie vengano diffuse a distanza di anni; compito e merito del Cinema è il saperle raccontare come in questo caso.  

articolo pubblicato da SETTIMO POTERE


Paco De Renzis

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