A pochi mesi di distanza dal
controverso Shame, nelle sale italiane è uscita l’opera prima di Steve Mc
Queen, Hunger. Il film che nel 2008 ottenne la Camera d’Or al Festiva di
Cannes ha trovato distribuzione solo grazie al battage pubblicitario causato
dalla scandalosa storia del sessuomane presentata all’ultima Mostra del Cinema
di Venezia, e che oltre a portare un po’ di fama al regista ha consentito al
protagonista Michael Fassbender di vincere la Coppa Volpi. Eppure nonostante
la pregevole qualità generale di Shame , tra i due è proprio Hunger
il lavoro più sorprendente e sconvolgente di Steve Mc Queen.
La storia è quella degli ultimi
mesi di vita di Bobby Sands, militante dell’IRA (Irish Republican Army) che
divenne simbolo del movimento, tra fine anni ’70 e inizio ’80, attraverso le battaglie
e gli scritti dalla prigionia nelle carceri inglesi. La protesta più eclatante,
uno sciopero della fame (hunger=fame)
che durerà 66 giorni, porterà Sands alla morte facendolo divenire vero e
proprio martire per la causa dell’Ulster (la riunificazione delle due Irlande e
la cacciata dei militari inglesi).
Il racconto dell’agonia di quei
giorni viene fatto dal regista col parallelo di dialoghi e protagonista ridotti
all’osso, con l’esposizione emblematica del corpo di Fassbender-Bobby Sands che
lentamente si disintegra; la descrizione minuziosa, a livello visivo, della
prigionia dei carcerati che, ritenendosi detenuti politici, si rifiutano di
sottostare al regime carcerario imposto dal governo Thatcher, pagandone le
conseguenze fisicamente e mentalmente, fa da scioccante cornice alla tragica
vicenda principale e scelta spiazzante e cinematograficamente rilevante di Mc
Queen sta nell’introdurre il film per oltre dieci minuti presentando altri
personaggi alla stregua di vittime predestinate abbandonandoli momentaneamente
per poi ripresentarli nelle vesti di carnefici del protagonista.
Al servizio del regista
britannico, così come in Shame , c’è Michael Fassbender; e il
suo Bobby Sands è devastante per una trasformazione corporea che è
distinguibile addirittura in ogni scena. Se la recitazione fisica impressiona,
la capacità di esprimere la dignità e la fierezza del personaggio che interpreta
affascina nonostante la condizione tragica descritta.
In una delle scene più
significative del film, con una ripresa a telecamera fissa su due persone
sedute ad un tavolo, per oltre un quarto d’ora si assiste allo scambio di
opinioni tra il carcerato Bobby Sands ed il sacerdote Dominic Moran che gli
intima di accordarsi con il governo inglese per il suo bene e soprattutto per
quello della sua gente, e lo prega di desistere dallo sciopero della fame che
vuole intraprendere; questa scena ripresa a circa tre metri di distanza con la
macchina che si muove solo nel finale per un primo piano, è l’unico frangente
in cui il predominio del linguaggio del corpo voluto dal regista lascia spazio
alla parola, e l’espressività di Fassbender è conseguenza di ciò che sta
dicendo il suo personaggio e non descrizione unica della situazione del militante-carcerato
come in tutto il resto del film.
Prima di divenire regista Steve
Mc Queen era un esponente apprezzato della body-art, e la capacità di mettere i
corpi al centro delle proprie opere è rimasto l’elemento fondamentale dei suoi
lavori.
Paco De Renzis
Nessun commento:
Posta un commento