Capita non di rado che un remake permetta di far riscoprire un film che avendo avuto scarsa distribuzione e facendo parte di cinematografie di paesi poco “commerciabili” era passato inosservato all’uscita in sala; capita invece piuttosto raramente che originale e remake siano entrambi interessanti e di buona fattura. Nel caso di “Blood Story” ci si trova al cospetto di una pellicola che ha fatto riscoprire il film svedese “Lasciami entrare” di Alfredson, stranamente senza farlo rimpiangere ma permettendo di gustare due ottime opere solo in alcuni tratti identiche. Il recente remake americano prova ad esser più fedele al romanzo di Lindqvist da cui la storia è tratta, non rinnegando molte delle caratteristiche delineate in ambito narrativo dalla precedente opera svedese; come solitamente accade nei film americani si è preferito aggiungere più che togliere nel remake, e quindi si trovano personaggi che prima non c’erano come il detective. Ad ogni modo la storia è cupa e tenera, si parla di vampiri e di uccisioni truculente ma anche di un’amicizia, di un amore che nasce tra il piccolo Owen, solitario dodicenne figlio di genitori divorziati vittima del bullismo dei compagni di scuola, e la misteriosa Abby trasferitasi con quello che dovrebbe essere suo padre nell’appartamento attiguo a quello in cui vive il bambino con la madre. I due sono personalità che si attraggono per il loro essere diversi, emarginati forzati per motivi differenti dalla vita sociale dei loro coetanei: se l’approccio è diffidente paradossalmente il consolidamento di un affetto che diventerà protettivo oltre che romantico avverrà quando Owen scoprirà il segreto di Abby. È vero, la storia del vampiro che si affeziona, si innamora di una persona normale non è originale, ma di certo non c’è possibilità di confondere “Blood Story” con “Twilight”; in questo caso i vampiri tornano a fare paura, a far scorrere il sangue, nonostante si parli di bambini protagonisti della storia; non ci sono bellocci pseudo fotomodelli e né addominali scolpiti o scene da videogioco, e soprattutto la sceneggiatura ha ben poco di fantasy, si sfiora il realismo più crudo con il valore aggiunto del personaggio irreale malvagio suo malgrado. Il regista Matt Reeves aveva già sorpreso col finto-documentario “Cloverfield”, ma senz’altro ha fatto un passo avanti con “Blood Story” che non è necessariamente consigliato solo agli appassionati dell’horror perché seppure il sangue sgorghi in scene piuttosto forti non diventa il protagonista assoluto a dispetto del titolo quanto mai inopportuno scelto dai distributori italiani.
Paco De Renzis
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