Pensate a quattro persone chiuse in una stanza; a 80 minuti di film con solo questi elementi scenici a disposizione: stento a credere che qualcuno verrà attirato in sala da tali e semplici banali dettagli più consoni ad una rappresentazione teatrale. Seppure “Carnage” sia realmente tratto dalla piece “Il Dio del massacro” di Yasmine Reza, ci troviamo al cospetto di una delle opere cinematografiche meglio riuscite degli ultimi anni: una commedia tragica psicologicamente, dark, stracolma di ironia cattiva, cattivissima, una storia a tensione crescente che però non ha nulla a che fare con un thriller eppure ne assume i contorni della narrazione.
Si parte piano e fin troppo tranquillamente dopo aver assistito da lontano, quasi come fossero immagini di un videoamatore, all’evento da cui scaturisce la “carneficina” che si svolgerà tra quattro mura; Hitchcock chiamava “McAfee” quel particolare di una storia che gli consentiva in un film di raccontare tutt’altro, lo spunto per arrivare a trattare argomenti che altrimenti avrebbe avuto difficoltà ad infilare in una sceneggiatura, e la rissa tra due ragazzini, o meglio le botte subite da uno dei due con conseguenti danni fisici, serve a Roman Polanski per addentrarsi come un sociologo nella mentalità dell’uomo contemporaneo. I genitori dei ragazzini si incontrano a casa di quello che è stato malmenato e l’intenzione è di chiarire e magari pianificare una riappacificazione tra i loro figli: ma basta una parola non condivisa nel riportare l’evento per scuotere la situazione, basta un’opinione differente su un comportamento, un cellulare che squilla in continuazione con conversazioni squallide di lavoro avvocatesco imposte all’attenzione di ascoltatori impotenti, un sorrisino o una parolina di troppo su interessi o impiego altrui…la situazione degenera esplodendo in un “massacro” morale di insulti inizialmente velati poi espliciti e taglienti. Scene simboliche come il vomito sui libri d’arte, le riprese che dallo specchio mostrano di spalle chi sta subendo la conversazione con gli pseudo – carnefici a scandire i tempi, i personaggi seduti dapprima di fronte a due a due poi perpendicolarmente senza guardarsi per cercare di scacciare i pensieri e le parole frutto della “carneficina” mentale che stanno vivendo.
La bellezza di questa pellicola sta nell’esporre, nello sbattere in faccia allo spettatore il peggio dell’animo umano che inevitabilmente può venir fuori in condizioni di “cattività” fisica e di labilità psichica in alcuni casi dovuta a personalità fragili o fin troppo accondiscendenti o a eccessiva superbia e arroganza dovuta alla convinzione che ciò che conta della vita finisca con la propria persona e con quello che si fa e si pensa, a prescindere dagli altri.
Quattro interpretazioni eccellenti, stili recitativi agli antipodi e forse per questo complementari per una storia del genere: il “bastardo senza gloria” Christoph Waltz è sontuoso per quanto è divertente ed odioso nel ruolo dell’avvocato in carriera che chiama il figlio undicenne “pazzoide”, e la moglie è interpretata da una bravissima Kate Winslet che per fortuna non ha più nulla a che fare con quella del “Titanic” e raggiunge vette inimmaginabili allora passando in pochi minuti dalla donnina alto- borghese con la puzza sotto il naso ma afflitta e scontenta del matrimonio e della propria vita a un’ubriacona che dopo aver vomitato materialmente sulle rarissime guide di mostre di pittori vomita metaforicamente fuori tutto ciò che in realtà pensa dei padroni di casa, del marito e della propria esistenza; fanno quasi da contraltare ma in modo esemplare gli altri due interpreti, Jodie Foster e John Reilly, che partono come figure idilliache e alla mano per diventare personaggi al limite dell’isteria che si sputano addosso le insoddisfazioni coniugali e l’opinione effettiva che ognuno ha dell’altro.
Se il meccanismo di “Carnage” funziona alla meraviglia è merito senz’altro degli attori che tengono la scena per 80 minuti senza sbavature, ma la direzione magistrale di Roman Polanski che incornicia una sceneggiatura di impressionante efficacia, grazie all’adattamento del regista ma soprattutto alla commedia originaria di Yasmine Reza, eleva la messinscena mostrando attraverso riprese emblematiche l’evolversi della “carneficina” fino alla magnifica scena finale che esemplifica la morale della storia mostrando di nuovo i ragazzini della rissa e come all’inizio, a differenza di tutto il film, senza nessuno che parli.
Paco De Renzis
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