martedì 27 settembre 2011

GEMME DI CELLULOIDE


Nella valutazione di un’opera d’arte, di qualsiasi arte si stia parlando, ci si dovrebbe attenere a quello che il proprio gusto suggerisce, all’emozione che al suo cospetto si prova.
Questo da semplice spettatore, amatore, appassionato; decisamente più complesso dovrebbe essere il metro di giudizio di chi deve “criticare”, di chi deve “presentare” un’opera…troppo spesso ci si limita all’esaltazione o alla stroncatura estrema, non di rado per partito preso, e si lasciano ai margini le caratteristiche di un lavoro, la narrazione di esso, le motivazioni di un artista e le sue prerogative, le potenzialità simboliche o meno, le capacità incisive e temporali o meno di una data creazione.
Dalle guide nei musei ai critici cinematografici e letterari pare essere nata la corrente sociale di chi lavora per condizionare il gusto popolare, il partito dei manipolatori emozionali, sono loro che ti dicono quello che ti deve o non ti deve piacere: non stiamo parlando delle mode del momento, delle tendenze generazionali che dopotutto accompagnano la vita quotidiana delle masse, ma di un concetto perverso che fa si che io spettatore-amatore-appassionato-visitatore escluda a priori la possibilità che qualcosa mi piaccia se una guida o un critico ne ha parlato male.
Alzi la mano chi non ha mai detto o sentito dire da qualcun altro riguardo ad un film “non vado a vederlo, le critiche sono tutte negative”, oppure “questo è da vedere, c’era una recensione che lo osannava”, o evitare di leggere un libro perché “me ne hanno parlato male”; e che dire dei quadri, delle sculture, delle architetture? C’è chi esalta a prescindere la Gioconda e chi dice che anche un bambino avrebbe potuto dipingere Guernica, chi apprezza Warhol perchè in tanti ne parlano ma ignora il suo messaggio Pop e le sue provocazioni, chi pende dalle labbra delle guide e preferisce farsi spiegare le emozioni che dovrebbe provare piuttosto che esserne protagonista.
Esempi più lampanti di tali condizionamenti si hanno nel cinema, dove molti spettatori arrivano a farsi piacere pellicole che non sopportano perché “quelli che contano e ne capiscono” parlano di capolavoro, di cult, o magari tacciono sui loro gusti reali riguardo a film che non hanno avuto successo, di cui la critica ha parlato male; non ci crederete , ma anche tra gli addetti ai lavori esiste il condizionamento solidale, il contagio del naif, che si nota principalmente nei festival, nelle manifestazioni che presentano opere da tutto il mondo, e fa più tendenza premiare ed elogiare i lavori giapponesi, coreani, algerini, polacchi e varie cinematografie minori, che i film americani, italiani, francesi, tutto questo a prescindere dal loro reale valore, e quasi sempre perché qualcuno ha fatto partire l’applauso alla prima proiezione svegliando dal torpore il pubblico dormiente.
Eppure esistono eccellenti opere autoriali americane, italiane e francesi, magari di produzione indipendente, piccole commedie brillanti, storie di vita quotidiana raccontate con magnifico realismo e tecnica superlativa, e ci sono, e sono la maggior parte, film di cinematografie minori che partono con grandi investimenti produttivi che danno vita a risultati meno che mediocri, e purtroppo non basta essere connazionali di Kurosawa, Ozu o Kieslowski per fare buon cinema…questo, almeno, è fuori discussione.


tratto dal libro GEMME DI CELLULOIDE 
 http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=238369
                                                                                                                                                          P.D.R.

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